Premessa
Il sisma che ha interessato principalmente la città de L’Aquila e la sua provincia il 6 aprile 2009 ha avuto una magnitudo di 5,8 gradi sulla scala Richter (1).
Essa è stata seguita da numerose “repliche”, alcune di notevole intensità (magnitudo superiore a 5 gradi Richter), che hanno ulteriormente danneggiato alcune strutture che in qualche modo avevano retto alla scossa principale.
Il patrimonio edilizio delle aree colpite dal sisma è molto diversificato, sia per tipologia costruttiva che per stato di conservazione. I centri storici dei comuni e le località limitrofe al capoluogo sono costituite prevalentemente da strutture in muratura (per lo più in pietra) sulle quali è stata osservata una maggiore frequenza di danneggiamento.
Nelle aree di più recente edificazione le strutture residenziali sono realizzate prevalentemente in cemento armato: su di esse è stato osservato un diffuso danno agli elementi non strutturali (lesioni alle tamponature ed espulsione dei paramenti), ma anche alcuni danni gravi agli elementi strutturali (travi, pilastri e nodi) ed in alcuni casi il collasso globale o di un intero piano.
I rilievi eseguiti hanno lo scopo di liberare la mente da tanti assurdi falsi scoop ed affermazioni di “sedicenti tecnici” apparse sui media nei giorni immediatamente successivi al sisma, riportando l’analisi su aspetti prettamente tecnici e di riscontro oggettivo.
Valutazioni generali
Le strutture, a parità di azione sismica, subiscono livelli di danneggiamento diversificati in funzione della loro vulnerabilità. Numerosi sono i fattori che determinano la vulnerabilità di una struttura, tra essi la tipologia strutturale e le relative modalità di realizzazione.
Con riferimento alle strutture in muratura, le pareti di tali strutture che per le caratteristiche dei loro componenti sono tipicamente poco o per nulla resistenti a trazione, offrono una resistenza molto limitata per azioni che tendono a ribaltarle “fuori dal piano” ed, al contrario, una più elevata capacità resistente per azioni che le sollecitano “nel proprio piano”.
In genere, quindi, una costruzione in muratura sarà tanto meno vulnerabile quanto più la configurazione strutturale sarà in grado di attivare la resistenza nel piano delle murature di cui è composta.
È possibile individuare un comportamento ideale in cui i maschi murari sono ben ammorsati tra loro e resi collaboranti da un solaio rigido (comportamento scatolare).
Questo tipo di configurazione strutturale è quella prevista già da diversi anni dalle norme tecniche per le costruzioni in muratura in zona sismica.
Per vecchi edifici in muratura, dove questo tipo di configurazione non era stata ovviamente realizzata, è necessario quanto meno provvedere ad interventi di adeguamento, attuabili per esempio con l’inserimento di “catene” che riducano la possibilità che si attivi il meno favorevole meccanismo di collasso delle pareti per azioni fuori dal proprio piano.
Per quanto riguarda le strutture in cemento armato, l’esame dei danneggiamenti sottolinea l’importanza di realizzare adeguati particolari costruttivi e di progettare secondo i criteri della cosiddetta “gerarchia delle resistenze” (capacity design) (1).
In assenza di regole di gerarchia delle resistenze, gli elementi di una struttura vengono progettati solo in funzione delle sollecitazioni indotte dai carichi. Ciò può dar luogo, ad esempio, a strutture in cui le travi posseggono una capacità resistente maggiore rispetto ai pilastri. In tal modo, un eventuale meccanismo di collasso interesserebbe i pilastri che sono elementi intrinsecamente meno duttili delle travi.
Al contrario, per ottenere un buon comportamento sismico, ossia che consenta di dissipare in modo efficace l’energia indotta dallo scuotimento sismico, è opportuno attribuire ai diversi elementi strutturali una resistenza relativa determinata seguendo semplici criteri di gerarchia delle resistenze, in modo da determinare per esempio un più favorevole comportamento a “travi deboli e pilastri forti”.
Un tipico esempio di questa problematica è rappresentata dalla vulnerabilità di strutture in c.a. caratterizzate da ampie aperture (per esempio vani garage) o dalla mancanza delle tamponature ad un piano dell’edificio, in particolare al piano terra (pilotis). In queste circostanze negli elementi resistenti di tale piano si concentra un’elevata domanda di duttilità che può provocare il collasso prematuro e fragile della struttura.
Altra tipologia di danneggiamento molto rilevante riguarda la vulnerabilità degli elementi non strutturali (in particolare le tamponature). La progettazione e l’esecuzione di questi elementi viene in genere sottovalutata, tuttavia il loro danneggiamento può comportare la perdita di funzionalità della struttura, elemento di particolare importanza in opere strategiche come gli ospedali, oltre che avere gravi conseguenze sull’incolumità fisica delle persone ed elevati costi di riparazione.
I maggiori danni sono infatti occorsi a fabbricati che, seppure correttamente progettati dal punto di vista della resistenza alle azioni orizzontali, hanno una bassa rigidezza e quindi hanno sofferto elevati spostamenti di interpiano.
Particolarmente evidenti ed ingenti sono i danni alle murature di tamponamento, costituite per lo più da doppie pareti con interposto materiale di coibentazione, a causa dell’inadeguatezza, o addirittura totale mancanza, di collegamenti dei due paramenti murari. Anche l’Ospedale e la Facoltà di Ingegneria de L’Aquila hanno sofferto danni ingenti proprio agli elementi non strutturali (tamponamenti di rivestimento e tramezzature interne).
Tamponamenti realizzati con soluzioni monostrato di maggiore spessore hanno avuto un comportamento statico decisamente migliore.
Ruolo delle norme tecniche
Uno degli aspetti di discussione innescato dal sisma in Abruzzo ha riguardato l’aspetto delle norme tecniche per la progettazione ed esecuzione delle costruzioni in zona sismica.
È noto infatti che da alcuni anni si sta lavorando ad un aggiornamento delle norme tecniche che ha portato come risultato finale all’emanazione del D.M. 14/01/2008, divenuto cogente dal 1° luglio 2009 (2).
L’esame di alcune situazioni negative prima descritte può solo parzialmente essere attribuito all’applicazione di norme tecniche che non utilizzano adeguatamente i rilevanti avanzamenti ottenuti dalla ricerca, in particolare italiana, nel campo dell’ingegneria sismica.
Il vecchio D.M. 16/01/1996 sulle costruzioni in zona sismica non contiene, almeno esplicitamente, indicazioni essenziali sulla duttilità da attribuire agli elementi, sulle regole di gerarchia delle resistenze, sui dettagli costruttivi, aspetti che sicuramente vengono meglio trattati nelle nuove NTC 2008 che, per la parte sismica, riprendono in buona parte quanto già contenuto nelle norme emanate a seguito del terremoto del Molise 2002 (O.P.C.M. 3274 e successive modificazioni) (3).
Nelle nuove norme particolare attenzione viene dedicata anche alle conseguenze del danneggiamento degli elementi non strutturali, con la definizione di due diversi stati limite di esercizio (Stato Limite di Danno e Stato Limite di Operatività) che garantiscono il mantenimento della funzionalità e della capacità operativa anche in occasione di eventi sismici violenti, condizione particolarmente importante nel caso di strutture strategiche come gli ospedali.
Tuttavia va evidenziato che le nuove norme tecniche, pur consentendo un avanzamento della qualità progettuale, non sono risolutive in quanto molto dipende anche dalla fase esecutiva e ancor più perché i problemi più rilevanti di rischio sismico in Italia risiedono nel grande deficit di protezione sismica delle strutture esistenti, sia private che pubbliche. Ad esempio il Dipartimento della Protezione Civile stima che il numero di edifici pubblici costruiti prima del 1980 non progettati con criteri antisismici è di circa 75.000, di cui circa 35.000 nelle zone ad alta e media sismicità (zone 1 e 2 secondo la classificazione O.P.C.M. 3274/2003) (1).
In sintesi si può dunque affermare che, dal punto di vista normativo, le nuove norme tecniche sono importanti ma non risolutive, che i problemi manifestatisi in molti casi non erano dovuti alla mancanza di regole ma piuttosto dai criteri di applicazione e di rispetto delle regole esistenti.
Resta sul tappeto un problema enorme, per il quale nessuna norma tecnica può essere ritenuta risolutiva, che è il grande deficit di protezione sismica del patrimonio edilizio esistente (considerando in esso quanto edificato almeno fino agli anni ’80).
Non va dimenticato che tutti gli interventi (sia di nuova edificazione, ricostruzione, che di messa in sicurezza) vanno progettati in una logica di integrazione ed interazione (sicurezza strutturale, efficienza energetica, ecc.).
Infine un aspetto fondamentale messo in luce dal sisma in Abruzzo è quello della fase esecutiva e dei controlli, in mancanza dei quali anche il migliore progetto antisismico può venire meno.
Analisi dei comportamenti strutturali e casi di danno più frequenti
Dopo ogni evento naturale, l’impegno principale del mondo scientifico è da sempre rivolto ad analizzare l’accaduto per riuscire a ridurne gli effetti in caso di un evento analogo successivo.
La comunità scientifica è quindi impegnata anche in questo caso ad analizzare sia i dati provenienti dai sismografi della zona (almeno 4 hanno funzionato regolarmente e registrato dati utili agli studi) che gli effetti del sisma sul costruito.
Le tipologie di crollo e dissesto che si sono potute riscontrare sugli edifici residenziali investiti dal terremoto sono molto differenti tra loro sia per l’intensità dell’accelerazione al suolo che ha colpito gli edifici che per la tipologia costruttiva degli edifici stessi.
Se da un lato infatti terreni diversi hanno amplificato o smorzato l’onda sismica, dall’altro tecniche differenti hanno risposto in maniera non univoca all’azione tellurica.
Si possono quindi catalogare alcune tipologie classiche di danneggiamento ed analizzare, almeno in prima battuta, la causa scatenante del degrado strutturale evidenziato.
I sopralluoghi eseguiti hanno tuttavia permesso di rilevare e documentare anche l’ottimo comportamento di edifici di recente costruzione realizzati utilizzando come sistema costruttivo la muratura portante in blocchi di laterizio.
Crollo di edificio per sgretolamento della struttura muraria
Gran parte degli edifici storici della zona terremotata sono costituiti da strutture realizzate in pietra non squadrata e ciottoli scarsamente legati da malta a base di calce e molto spesso non intonacati e quindi non protetti dagli agenti atmosferici.
L’intervento dell’uomo, nel periodo di vita di tali strutture, ha molto spesso portato a snaturare la struttura scatolare e compatta dell’edificio originario, inserendo aperture, spostando solai e/o tramezzature allo scopo di migliorare la fruibilità spaziale dell’immobile.
In mancanza quindi di una adeguata cordolatura sulle murature e/o di tiranti o catene aventi la funzione di legare le murature al piano, la struttura in pietra non è in grado di rispondere adeguatamente alle azioni del sisma sia orizzontali che verticali portando molto spesso al crollo della struttura.
Come si nota da alcune foto di un edificio recentemente ristrutturato [figg. 2a, 2b], l’incoerenza della muratura ha portato al disgregamento del tessuto murario.
Cedimento del nodo trave-pilastro in edifici intelaiati in c.a.
Differenti sono le situazioni di edifici con struttura a telaio in c.a., ove una non corretta esecuzione e/o progettazione delle strutture ha portato a collassi parziali ed in alcuni casi totali.
Analizzando nel dettaglio alcuni casi, si è potuta riscontrare una scarsa resistenza dei nodi strutturali ed in particolare della connessione pilastro-trave. Infatti una insufficiente staffatura in corrispondenza del nodo, ha portato in molti casi all’esplosione del calcestruzzo con conseguente degrado della connessione.
Laddove inoltre le armature dei pilastri erano inadeguatamente collegate ai piani superiori, si è avuta l’espulsione degli stessi con conseguente cedimento di tutto il piano che è collassato su quello sottostante [figg. 3a, 3b].
Questo tipo di collasso è stato riscontrato in diversi casi in corrispondenza del piano più “debole” che, nel caso di strutture intelaiate e tamponate, coincide con l’eventuale piano privo degli irrigidimenti costituiti dai tamponamenti (edifici su pilotis oppure piano terra con i vani garage) [fig. 3c].
Lesioni nei tamponamenti di facciata
Gran parte degli edifici pluriplano, con struttura in c.a., riportano lesioni ai tamponamenti, sia del tipo a “croce” che con crollo parziale o totale della muratura.
La tipologia di tamponamento utilizzata è prevalentemente una doppia parete con intercapedine.
Tali lesioni sono principalmente da imputare alle elevate deformazioni che la struttura intelaiata ha subito in seguito al sisma. Gli spostamenti erano evidentemente superiori a quelli assorbibili dai tamponamenti, di modesto spessore (per lo più doppie pareti in forati leggeri), che si sono quindi lesionati perdendo in alcuni casi anche la propria capacità portante per azioni fuori piano e sono successivamente collassati verso l’esterno o l’interno.
Risulta quindi importante dimensionare la struttura intelaiata in maniera tale da non indurre sollecitazioni o spostamenti elevati agli elementi non portanti di tamponamento e nello stesso tempo utilizzare soluzioni di tamponamento in grado di offrire maggiore resistenza a tali sollecitazioni.
Distacco dello strato esterno dei tamponamenti di facciata
Nella provincia aquilana ed in gran parte del territorio abruzzese, una tipologia residenziale molto diffusa è quella che presenta un rivestimento di facciata in mattoni a vista. La contemporanea necessità di ridurre i ponti termici e quindi di isolare la struttura interna dal rivestimento di facciata, ha portato i progettisti e di conseguenza i costruttori a “staccare” termicamente lo strato esterno di tamponamento (in mattoni forati o in faccia-vista) senza connettere adeguatamente lo strato esterno, passante con continuità “davanti” alla struttura portante a telaio, allo strato di tamponamento interno.
La parete esterna è risultata molto esile e, sottoposta ad azioni fuori piano provenienti dal proprio peso e dalla deformazione della struttura principale, è collassata su se stessa.
Masse strutturali elevate
In diversi edifici si sono riscontrati collassi strutturali e/o lesioni ai tamponamenti riconducibili a soluzioni progettuali inadeguate. Nelle foto 6a e 6b sono riportati due casi emblematici.
Un primo caso [fig. 6a] mette in evidenza come un intervento di ristrutturazione inadeguato su edificio esistente ha portato alla realizzazione di impalcatati rigidi ma molto pesanti (solai in c.a.) su una struttura in muratura di pietrame molto debole. A seguito del sisma, la massa notevole della sovrastruttura ha portato al collasso delle strutture verticali per superamento delle capacità portanti.
Un secondo caso [fig. 6b] evidenzia in edifici di nuova costruzione una struttura di copertura caratterizzata da sbalzi importanti realizzati con solette piene in c.a.. La massa elevata della copertura ha sollecitato, in seguito all’azione sismica, la struttura portante verticale (telaio in c.a.) che è risultata molto flessibile. Ciò ha portato a deformazioni elevate causando lesioni evidenti sulle tamponature, molto fragili, con il crollo di quelle maggiormente sollecitate.
Eccellente comportamento strutturale di nuovi edifici in muratura portante POROTON®
Si riportano di seguito alcuni esempi di edifici in costruzione con struttura in muratura portante POROTON® siti nel comune de L’Aquila ed oggetto di sopralluoghi tecnici volti a verificarne il comportamento strutturale.
Oltre agli esempi qui riportati, una accurata indagine svolta dalle aziende produttrici associate al Consorzio POROTON® Italia operanti nel territorio abruzzese non ha portato ad alcuna segnalazione di danneggiamenti degni di nota riscontrabili in strutture recenti (realizzate in conformità al D.M. 16/01/1996) in muratura portante POROTON®.
Si mette in evidenza quindi che progettando edifici in muratura portante secondo le indicazioni della normativa (il riferimento in questo caso era al D.M. 16/01/1996), si realizzano strutture con comportamento scatolare che ben rispondono ad azioni sismiche anche di notevole intensità.
Edificio in muratura portante POROTON® + tetto in legno – Nuova costruzione in blocchi di laterizio
Anche in situazioni di edifici non molto regolari, come quello evidenziato in fig. 8, una corretta progettazione completata da una esecuzione attenta e dettagliata di cordolature in c.a., permette di ottenere edifici con struttura portante in muratura con blocchi di laterizio ad elevate prestazioni antisismiche.
In questo caso la struttura in legno della copertura risulta molto articolata ma correttamente connessa alla struttura muraria portante.
Edifico in muratura portante + tetto in legno – Nuova costruzione in blocchi di laterizio
Ulteriore esempio di edificio, in fase di ultimazione, con tre piani fuori terra in muratura portante di blocchi di laterizio, senza alcun problema strutturale [fig. 9]. Gli intonaci esterni, in questo caso già applicati, non presentano alcun tipo di cavillatura a testimoniare l’ottimo comportamento scatolare con cui l’edificio ha risposto alle sollecitazioni sismiche.
Bibliografia:
(1) Masi A, DiSGG Università della Basilicata, “Prime riflessioni sull’esperienza del terremoto in Abruzzo”, Consiglio Nazionale degli Ingegneri, Maggio 2009
(2) NTC 2008 “Norme tecniche per le costruzioni”, D.M. 14/01/2008
(3) OPCM 3274, Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274, 2003 “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”, G.U. n. 72, Giugno 2003